In passato il cibo veniva inteso soltanto come nutrimento. Poi è diventato un mezzo per stare bene, perché la nostra salute dipende anche da ciò che mangiamo. Oggi è riconosciuto anche l’impatto che ha sull’ambiente: quasi un terzo delle emissioni che producono il riscaldamento globale, ad esempio, proviene dalla filiera alimentare, dalla produzione fino al consumo.
La grande crisi umanitaria legata alla pandemia del Covid-19 dimostra che c’è una relazione diretta tra ciò che mangiamo e la nostra vita, la nostra salute.
Stiamo vivendo una grande crescita demografica, oggi abbiamo 7 miliardi di persone e supereremo presto i 9 miliardi. Il bisogno di produrre sempre più cibo ha portato a modificare l’ecosistema e le condizione ambientali. Distruggendo gli habitat naturali degli animali selvatici saremo sempre più vicini, sempre più a contatto, facilitando la trasmissione dei virus.
Il progetto SU-EATABLE LIFE vuole sottolineare la possibilità di ridurre le emissioni di gas serra, proponendo diete con minor impatto sull’ambiente, senza per questo impedire di mangiar bene.
Come fare? Utilizziamo un database che misura il cosiddetto “carbon footprint”, cioè la produzione di anidride carbonica e gas effetto serra per ogni chilogrammo di prodotto, e la quantità di acqua consumata per produrre ogni cibo. Con l’indice di sostenibilità, per ogni piatto, calcoliamo le emissioni di gas serra, partendo dalla carne rossa, per la quale le emissioni sono molto alte, fino ai piatti della dieta mediterranea, con un minore impatto ambientale.
Il progetto intende dimostrare che è possibile ridurre del 40% le emissioni mangiando bene, possiamo farlo a partire dai luoghi di lavoro, nelle mense, dove si mangia più frequentemente. Al momento lavoriamo con alcune Università e aziende che hanno gentilmente ospitato il progetto e si stanno adeguando alla nuova dieta. Lavoriamo con due target sociologici diversi: gli studenti, cioè i giovani, e le persone adulte, ovvero i lavoratori delle mense aziendali.
Ogni pasto di una persona dovrebbe consumare al massimo circa 1 chilogrammo di anidride carbonica e non più di 800 litri di acqua. Entro questi limiti possiamo ottenere una riduzione di emissioni che permette di contrastare sensibilmente il cambiamento climatico.